Francesco Sala | D’annunzio segreto

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di Edoardo Sylos Labini, Fiorella Rubino 

con Giorgia Sinicorni, Evita Ciri, Chiara Lutri, Priscilla Micol Marino 

drammaturgia Angelo Crespi 

regia Francesco Sala 

disegno luci Pietro Sperduti 

scene e costumi Marta Crisolini Malatesta

 

15 Ottobre, Teatro Quirino, Roma

 

“Ho per temperamento il bisogno del superfluo”: è quanto confessa D’Annunzio, un bisogno che cela un horror vacui e una paura della morte talmente forte e spietata, da rendere il superficiale, l’orpello una preziosa ancora di salvezza. Almeno questo è il D’Annunzio che Edoardo Sylos Labini mette in scena, un D’Annunzio fragile, viscido e manipolatore, un D’Annunzio, insomma, paurosamente attuale.

Lo spettacolo è composto da due atti, la storia si svolge quasi interamente nelle stanze del Vittoriale, dove D’Annunzio vive circondato dal lusso, dalle sue amanti e da qualsiasi cosa possa essere una costante auto-celebrazione della sua vita e delle sue opere.

Nel primo atto, facciamo la conoscenza di un Gabriele lussurioso, cinico, e a tratti quasi, crudele: lo spettatore non ci mette molto a capire che questa reggia del bello a tutti i costi non è altro che una gabbia dorata e la tanto ostentata e spregevole sicurezza e arroganza del vate, altro non sono che sottili maschere. Se nel primo atto facciamo la conoscenza della rete d’inganni tessuta finemente dal poeta, nel secondo si entra sempre di più nella sua sfera intima e sostanziale.

Il fantasma di Eleonora Duse, Viola Pornaro, aleggia ovunque nelle stanze del Vittoriale, come nei ricordi di D’Annunzio e nei suo sogni. Un fantasma insopportabile per le amanti e insostenibile per Gabriele, che vive tormentato dal senso di colpa e dai rimorsi per la Duse. Eleonora è stata forse la sola donna a essere davvero amata ed ammirata da Gabriele per la sua indipendenza; le amanti di D’Annunzio hanno il triste ruolo di essere dei pallidi orpelli con le quali il vate si diletta e riflette se stesso.

In questa perfetta gabbia dorata, dove nemmeno la guerra ed il duce riescono ad entrarvi, l’unica cosa capace di fare breccia e spezzare l’incantesimo è il ricordo della Duse, portatore di incubi e di una crescente depressione. Grazie ad una drammaturgia intelligente e viva sprofondiamo sempre di più in un ambiente angusto e tetro. La bella reggia lussuosa diventa una dimora fredda e spettrale e i suoi abitanti assomigliano sempre più a dei fantasmi: D’Annunzio è pauroso e depresso, attanagliato da un profondo e inconfessabile dolore ce cresce in un climax, trasfigurandosi in una culla vuota che dondola solitaria nel quale coricarsi. È questo il momento in cui D’Annunzio si spoglia di tutti i suoi travestimenti e inganni, denudandosi, metaforicamente, di ogni sua maschera e veste. Se da un lato abbandonarsi alla concreta verità del dolore può risultare la strada giusta da seguire, dall’altro Gabriele resta sospeso sul filo del continuo bisogno del superfluo, evitando di mostrare la sua anima intima e ferita, dandole pace attraverso la catarsi artistica, fra poesia e scrittura.

D’Annunzio segreto è uno spettacolo che riesce ad essere delicatamente forte, che incontra più i gusti e il favore di un pubblico giovane, piuttosto di uno eccessivamente erudito, anche se l’intera opera cerca e si sforza di comunicare a tutte le fasce d’età. Tutti gli attori sono stati all’altezza del compito, dando spessore alla drammatica tensione, creando un’atmosfera che non scade mai in tecnicismi accademici –particolare, quest’ultimo, che è mancato molto ad una fetta di pubblico in sala. Da apprezzare la notevole versione della Pioggia nel Pineto, poesia studiata sempre con troppa freddezza e asetticità, ma che in questo spettacolo ritrova la sua chiave travolgente e passionale, rendendole finalmente giustizia.

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Autore

Ottavia Coteni

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