DALÌ. UN ARTISTA, UN GENIO: presentazione alla stampa

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Per la realizzazione dell’articolo, per la collaborazione, il prezioso aiuto nella stesura e per le belle foto realizzate si ringrazia Emanuela Laurenti.

Dopo quasi sessanta anni Salvador Dalì torna a Roma e si ripresenta nella capitale con una retrospettiva d’eccezione, curata da Montse Aguer -Direttrice del Centro per gli studi daliniani alla Fundació Gala-Salvador Dalí- e Lea Mattarella -Docente di Storia dell’arte contemporanea all’Accademia di Belle Arti di Napoli-, sotto la direzione e il coordinamento generale di Alessandro Nicosia. Sono proprio loro, insieme ad altri promotori della mostra, ad introdurre gli addetti stampa nel mondo del genio Dalì, con l’obiettivo principale di donare al pubblico qualcosa di unico, di particolare, qualcosa che non si conosce affatto del grande maestro.

Fuori dai soliti cliché, infatti, il Complesso del Vittoriano ha intenzione di spiazzare il visitatore regalando non solo un ritratto d’artista, ma anche, e soprattutto, un ritratto di uomo. Naturale connubio, perché Dalì era uomo e insieme artista; perché la sua vita era arte. Perché lui stesso era Arte.

Tre sezioni di esposizione che attraverso oli, disegni, foto, video, lettere e oggetti, tessono il filo di quella figura geniale e ci catapultano in una dimensione di eccentricità e bizzarria, di sogni e ossessioni, per arrivare all’inesplorato rapporto che l’artista ebbe con l’Italia.
Ad aprire il percorso una galleria di inquadrature divertenti ed ironiche, ovvero gli scatti del fotografo russo-americano Philippe Halsman: immersione fisionomica nell’uomo e primo varco in quel bagliore trascendentale dell’artista.

Segue, quindi, la sua dialettica incantevole con il Rinascimento italiano: da Raffaello a Michelangelo il suo è un sottile colloquio, fatto di ammirazione e sincronica emulazione. Insomma, un confronto suggestivo. E poi gli incontri con Federico Fellini, Luchino Visconti, Anna Magnani, oltre alle rievocazioni dei suoi viaggi italiani. Da Roma a Venezia passando per Bomarzo, con quei giardini popolati da figure fantastiche proprie del suo universo, della sua espressione, dei suoi diari fatti di tinte e visioni. Dalì ci mostra, quindi, la sua passione per il Belpaese non soltanto a livello stilistico, ma anche a livello umano; non è un caso che il romanticismo capitolino compaia anche nel lungometraggio animato Destino, realizzato con Walt Disney.

E al di là di ogni orizzonte, c’è Gala, la sua donna, l’unica musa, smalto incastonato, tanto minuscolo quanto monumentale; è lei al centro dei suoi studi sulla ripetizione dell’immagine, raddoppiata nel gioco di specchi dei suoi dipinti stereoscopici.

«Ho sempre visto quello che gli altri non vedevano; e quello che vedevano loro io non lo vedevo». È lui, Salvador Dalì, una metamorfosi convulsa, trasformatore della realtà, propria e altrui. La sua tela non racchiude, è piuttosto un varco verso un universo di immaginario infinito. Indubbia egolatria ma disarmante, inconscia e indicibile bellezza. Uno stupore continuo e un’emozione sublime, di scoperta, grazie ad alcuni oggetti esclusivi in mostra, come le bottiglie di Rosso Antico, gli abiti del ballo Beistegui a Palazzo Labia, il suo divano/labbra, la Vespa Piaggio 150 ribattezzata Dulcinea, sulla quale l’artista è intervenuto firmandola con il suo nome e quello della moglie.

L’arte daliniana reca con sé anche un grande valore educativo. Grazie ad un progetto realizzato dal Vittoriano in collaborazione con l’Assessorato alla Famiglia, all’Educazione e ai Giovani, sono state predisposte tre schede -finalizzate alle tre età dello sviluppo cognitivo- che ripropongono gli aspetti più salienti della mostra attraverso letture guidate delle opere e giochi di scoperta per i più piccoli. «Ogni mattina, quando mi sveglio, provo un piacere supremo: quello di essere Salvador Dalì». Un’esposizione unica. Un completo autoritratto.

DALÌ. UN ARTISTA, UN GENIO

9 marzo – 1 luglio 2012,

Complesso Monumentale del Vittoriano, Roma,

foto di Emanuela Laurenti.

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Autore

Andrea Palazzi

"Il passato è presente in ogni futuro". Andrea Palazzi scrive quello che i suoi occhi osservano e quello che la sua epidermide del cuore assorbe. Nelle sue recensioni traspare la continua ricerca tra l'esatta posizione delle cose e la loro giusta dimensione. Per lui l'arte è l'interazione emotiva tra chi crea e chi osserva.

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