Cannes 66 | La vie d'Adèle. Chapitre 1 & 2

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In concorso

Regia: Abdellatif Kechiche

Con: Léa Seydoux, Adéle Exarchopoulos

Paese: Francia, Belgio, Spagna

Anno: 2012

La giovane Adèle passa le sue giornate tra scuola e brevi avventure con ragazzi. È nel fiore degli anni, ha una sensualità fresca e istintiva, è piena di curiosità, ma non sa bene cosa vuole. La sua vita è quella tipica delle adolescenti. Finché non incrocia per strada Emma, la ragazza con i capelli blu, e tutto cambia. Il desiderio si accende improvviso, irrompe la passione. Le due ragazze intrecciano una relazione. Sesso e amore sembrano essere una cosa sola. Finché non vengono fuori le incomprensioni, la differenza di età, di interessi, di classe.

Dopo la parentesi ‘storica’ del controverso La venere nera, Abdellatif Kechiche torna all’oggi, a quella giovinezza inquieta che già aveva raccontato ne La schivata e Cous cous. Prende spunto dalla graphic novel Le Bleu est une couleur chaude di Julie Maroh, ma sembra guardare più al ‘ciclo Doinel’ di Truffaut, a quell’idea di seguire un personaggio, i suoi tormenti e i suoi sogni, lungo l’arco del tempo – e in effetti, già apporre il sottotitolo Chapitre 1 & 2 è indicativo in tal senso. Quello che vuole raccontare Kechiche, in fondo, è un percorso di crescita, un passaggio dall’adolescenza all’età adulta, maturato attraverso l’acquisizione di consapevolezza del proprio corpo e dei propri sentimenti, ma anche attraverso la scoperta delle differenze, le delusioni e le separazioni.

Adèle è tutto. Ogni cosa ruota intorno a lei. Ed è inevitabile che il personaggio finisca per trovare una coincidenza con la sua interprete, persino nel nome. La giovane Adèle Exarchopoulos è il centro esatto del film. Ma quasi come se fosse una vittima, più che una protagonista.  Kechiche la segue con una costanza quasi maniacale. Non solo la pedina, ma sta addosso al suo corpo, alla sua pelle, ai fremiti, ai movimenti. Arriva a inquadrarne persino gli umori, i liquidi, la saliva della bocca che mastica. Persino le già celebri e prolungate scene di sesso, più esibite che conturbanti, finiscono per passare in secondo piano. Sono solo dei momenti di un ripetuto esercizio voyeuristico.

Kechiche conferma quello che già era apparso nei film precedenti, soprattutto in Vénus noire: l’ossessività del suo sguardo, che spinge le scene e i dialoghi, fino ai limiti della durata, che stringe i personaggi, le loro reazioni e i loro sentimenti, nelle maglie dell’inquadratura, in un sottile gioco perverso. Trovato un metodo, lo esaspera fino allo sfinimento. È per questa strada che vorrebbe dar corpo a un cinema pieno, carico di emotività, di passioni, di verità e concretezza. Ma, in quest’estenuante inseguimento, rischia di soffocare anche quei momenti davvero coinvolgenti e vitali. Di comprimere persino l’innegabile bravura e dedizione della Exarchopoulos e della Seydoux. Il film non si chiude, lascia giustamente uno spiraglio aperto. Staremo a vedere. Anche a cosa porterà l’entusiastica accoglienza di questi primi due capitoli da parte della stampa.

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