12 Anni Schiavo

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In anteprima al cinema Quattro Fontane, Steve McQueen ci racconta con 12 anni schiavo  una Lousiana afosa e terribile ai tempi dello schiavismo.

12 Anni Schiavo, di S. Mcqueen, Usa 2013, 134′

in uscita nelle sale cinematografiche il 20 Febbraio

Sceneggiatura: John Ridley

Soggetto: Solomon Northup, tratto dal romanzo Twelve Years a Slave

Montaggio: Joe Walker

Fotografia: Sean Bobbit

Musiche: Hans Zimmer

Produttore:  Brad Pitt, Dede Gardner, Jeremy Kleiner, Bill Pohlad, Steve McQueen, Arnon Milchan, Anthony Katagas

Distribuzione: Bim Distribuzione

 

Interpreti: Chiwetel Ejiofor (Solomon Northup), Michael Fassbender (Edwin Epps), Lupita Nyong’o (Patsey), Benedict Cumberbatch (William Ford), Paul Dano (John Tibeats), Paul Giamatti (Theophilus Freeman), Brad Pitt (Samuel Bass), Alfred Woodard (Harriet Shaw), Sarah Paulson (Mary Epps), Scoot McNairy (Brown), Taran Killam (Hamilton), Garret Dillahunt (Armsby)

Solomon Northup è un violinista talentuoso, con una bella casa, un matrimonio felice e due figli piccoli. Niente di diverso da qualsiasi altro libero cittadino dello Stato di New York. Ma cosa più importante, Solomon Northup è un uomo di colore che, prima della guerra di secessione americana, può vantare di essere nato libero dalla costrizione della schiavitù. La sua situazione è tuttavia destinata a cambiare drasticamente quando, raggirato da due artisti di un circo, si ritrova in catene, destinato a essere trasportato in Louisiana per essere venduto ai bianchi padroni di latifondi come schiavo.

Dopo l’ottimo esordio di Hunger e il magnifico Shame, Steve McQueen conferma pienamente il suo talento. Interessato a parlare dello schiavismo il regista si imbatte nella “troppa presto dimenticata” autobiografia di Northup. Nato da uomo libero la condizione di schiavitù è per lui qualcosa di ferocemente insensato. Il confronto con gli altri schiavi è impietoso. C’è chi preferisce ribellarsi, chi preferisce stare in silenzio e chi morire. Northup si ritrova strappato dal mondo civile, gettato in un livello di brutalità animale, costretto ad agire istintivamente più che metodicamente distante da qualsiasi dimensione empatica. Privato perfino del suo nome non gli restano che le sue azioni. Gesti meccanici, svuotati di significato e capaci solo di farlo sopravvivere giorno per giorno in mezzo a rari momenti di dolcezza che irrompono a reclamare le ultime briciole di umanità contro una prospettiva, dell’uomo e della libertà, ottusamente cieca ad ogni alternativa etica.

Mai totalmente inquadrati , tagliati fuori dai bordi, lasciati sfumare nel fuori-campo, i personaggi/immagine diventano immagini/oggetto. Corpi nudi e privati di ogni umanità trattati alla stregua di macabri dettagli ai margini di un trompe l’oeil da guardare indistintamente. Mercificazione e vouyerismo, come quella dello spettatore-regista che indugia insistentemente sul volto degli schiavi frustati, facendo attenzione a non perdere nessun urlo di dolore, nessuna espressione di sofferenza, nessuna ferita inferta. Nel tormentato tentativo di preservare la propria identità, la speranza di poter tornare a casa resta l’unica forza a sorreggere forze troppo deboli per poter anche solo provare a cambiare il rigido sistema che vede lo schiavo come un mero oggetto con valori proprietari prima ancora che umanitari.

C’è del grande cinema in 12 Anni Schiavo e c’è il grande cinema di Mcqueen: quello che non ha paura di porre una visione non accomodante, capace di risultare ancora tagliente e in grado di non cedere al compromesso della tolleranza o della banalità; fosse solo per il nobile scopo di mostrare l’uomo nelle sue mille contraddizioni, oltre lo stereotipo, oltre l’intreccio narrativo, oltre lo schermo del cinema. Così lo sguardo di Solomon, dis-perso in un mondo alieno e perso se stesso, guarda lo spettatore per un breve istante, in una toccante e dolorosa richiesta di aiuto che ha il sapore di quel pathos tragico dal valore ben più profondo di luccicanti premi Oscar pronti a essere vinti.

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