Napoli Teatro Festival | Emio Greco & Pieter C. Scholten | EXTREMALISM

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photo Napoli Teatro Festival
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 Ideazione e coreografia Emio Greco | Pieter C. Scholten
danza 30 danzatori del/Dancers Of Ballet National De Marseille | Ickamsterdam
drammaturgia Jesse Vanhoeck
scultura di luce Henk Stallinga
sound design Pieter C. Scholten
musica Valgeir Sigurðsson
luci Henk Danner
design costumi Clifford Portier
produzione Ballet National De Marseille, Ickamsterdam
in coproduzione con Holland Festival, Festival Montpellier Danse 2015, Maison De La Culture D’amiens
 
17 Giugno, Teatro Mercadante (NA),
Napoli Teatro Festival
 

Antioccidentale, inquieto, ribelle, è il corpo dei danzatori di Extremalism – corpo in rivolta, spettacolo di Emio Greco e Pierre Scholten, rispettivamente uno dei più geniali coreografi contemporanei e il suo drammaturgo “di fiducia”, fondatori nel 1995 ad Amsterdam della  compagnia Emio Greco PC che dà vita a un sodalizio artistico che si presenta come modello da seguire per ritrovare la figura del dramaturg troppo spesso sottovalutata nella sua fondamentale importanza nella costruzione di uno spettacolo di danza che abbia una sostanza al di là dell’apparenza.

I trenta danzatori di etnie diverse – asiatici, africani, nordeuropei provenienti dal Ballet National De Marseille e dall’International Choreographic Arts Centre – si posizionano sullo spazio scenico fissando dritto la platea, in un’attesa senza avvento, esecutori di una partitura coreografica di estrema difficoltà nel suo essere composta da fraseggi costantemente mutevoli da interpretare al suono disturbante e ossessivo di una partitura (sette composizioni originali di Valgeir Sigurðsson) fatta di suoni per lo più minimali e ripetitivi, tesi a ribadire un’interferenza ingabbiante la possibilità dello spettacolo di essere tranquillizzante.

Il mascheramento e la (s)vestizione dei corpi costituiscono un ulteriore enigma; perturbanti figure in nero, dicono e non dicono dell’Isis, si presentano immobili al cominciamento, per lasciare il posto all’ingresso nello spazio scenico di danzatori il cui volto appare inizialmente coperto da maschere di tessuto intrecciato, i quali si esibiscono in una sequenza di pose asimmetriche, aritmiche; unica congerie inquieta che si pone frontalmente allo spettatore, donando e restituendo uno sguardo fisso e interrogativo.

photo Napoli Teatro Festival

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Suoni di volatili vanno didascalicamente a sottolineare il movimento mimico (l’unico) richiamante tale animale; tipico del movimento à la Emio Greco, sono gli arti superiori a liberarsi per primi, anelito ancora di liberazione; ma il suolo non è abbandonato, i corpi continuano la marcia danzante nel deserto, seppure gradualmente i movimenti conquistino altre dimensioni dello spazio, a terra, in diagonale, massa centrifuga dalla quale talvolta un elemento singolo si distacca esibendosi in un a solo, di grande impatto risultano le interpretazioni finale di due componenti dell’ensemble, performanti una partitura nevrotica, morbosa, tremolante e fragile.

Guidati da un oscuro individuo – presenza alquanto sovrappeso e intonante un lynchiano canto in inglese, incrocio tra pifferaio magico e sacerdote indicente una messa cantata – i danzatori sono immersi in uno spazio monocromo, dal quale escono ed entrano attraverso le pareti sceniche rivestite da catene dorate, sottomessi a un idolo luminoso, la bella scultura al neon Chain Reaction di Henk Stallinga rappresentante un cerchio formato da altri cerchi intrecciati, catena assurta a divinità; struttura mobile che esegue anch’essa una coreografia, muovendosi in alto, in diagonale e in basso, ingabbiando i danzatori e poi liberandoli, materiale vincolo che impedisce l’esporsi dell’istintuale direttiva della perfromance che si dissolve nel nero della mancanza di una chiarificazione; psicotico rituale che è un “estremalismo”, un voler spingere al limite una condizione, uno stato d’animo, quello della bellezza in catene, schiava che chiede di essere liberata.

Greco e Scholten attuano una rottura anti-ballettistica della coreografia che si rende vettore ideologico ed esistenziale, non mero esercizio manierista, comunicando allo spettatore una visione dove coesistono geometria e forza entropica, nell’opposizione tra animale e gabbia, libertà e catene; sullo sfondo campeggia un Impero all’apice della decadenza e dal volto oscurato, alla cui minaccia i corpi reagiscono nell’unico modo possibile, ovvero con una rivolta collettiva a volto scoperto.

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Redazione

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