A ROMA IL FASCINO DELL’ORIENTE

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Dal 20 Ottobre al 22 Gennaio prossimo il Chiostro del Bramante ospita una mostra di grande attualità “Gli Orientalisti. Incanti e scoperte nella pittura dell’Ottocento italiano”, a cura di Emanuela Angiuli e Anna Villari, una accurata selezione di circa una ottantina di opere, che raccontano l’Oriente nella pittura dell’Ottocento italiano.
I racconti di esploratori, mercanti, avventurieri e uomini d’armi innescarono la fantasia occidentale. Un’umanità varia faceva da ponte tra i due Mondi. Le cronache di piaceri proibiti, odalische, harem, hammam, immagini di un vivere scandito da ozii e lussurie, avevano fatto il resto. E poi c’era la necessità, più o meno erudita, di saperne di più, di scoprire e capire terre geograficamente non tra le più lontane, eppure distanti per cultura, storia, atmosfere, davvero ancora inesplorate. Una malìa che stregò molti artisti, alimentata da una committenza affascinata dall’avanguardia dell’ esotica raffinatezza di un Oriente vicino e, allo stesso tempo, lontanissimo e sfuggevole.
La mostra rappresenta con variegata completezza questa ventata d’Oriente in pittura, riconoscendo come punto d’origine, non unico ma certo decisivo, Francesco Hayez. Il veneziano non si mosse dall’Italia e tuttavia si lasciò felicemente contagiare dal vento d’Oriente, dall’esotismo, dall’erotismo che al mondo arabo sembrava connaturato. La sua è stata, diremmo noi, una malattia a distanza. Distanza che può falsare la percezione del proprio morbo. Tutto il contrario fece il suo conterraneo Ippolito Caffi, che decise di sperimentare il nuovo di persona imbarcandosi in un lungo viaggio tra Costantinopoli, Smirne, Efeso e il Cairo, da cui ha tratto opere memorabili e un gusto che connoterà permanentemente la sua pittura.
Da Parma, prima Alberto Pasini e poi Roberto Guastalla, il “Pellegrino del sole”, percorrono carovaniere e città per raccontare questi altri mondi. Il secondo lo fa portandosi dietro, oltre a tavolozza, cavalletto e pennelli anche uno strumento nuovo, la macchina fotografica.
Da Firenze parte alla volta dell’Egitto Stefano Ussi che in quel Paese, subito dopo l’apertura del Canale di Suez, lavora per il Pascià prima di trasferirsi in Marocco con l’amico Cesare Biseo, anch’egli proveniente dalla corte del Viceré d’Egitto. Da questo viaggio i due traggono gli spunti per illustrare, magistralmente, “Marocco” di Edmondo De Amicis.
Né il Mezzogiorno fu esente dal contagio. Ne è testimonianza, a Napoli, Domenico Morelli che, senza mai aver messo piede nei territori d’oltremare, descrive magistralmente velate odalische, figure di arabi, mistiche atmosfere di preghiere a Maometto.
Davvero si aprì una pagina nuova della storia dell’Arte italiana: una parentesi quanto alle forme ma un fiume carsico per la potenza immaginifica. Questo è il lascito degli Orientalisti: il gusto utopico per ciò che non si dà nel proprio mondo congiunto ad una matura capacità di elaborazione della forma artistica. Il risultato è un nuovo mondo. Un mondo di un’evanescenza realissima.

GLI ORIENTALISTI. INCANTI E SCOPERTE NELLA PITTURA DELL’OTTOCENTO ITALIANO

Chiostro del Bramante, dal 20/10/2001 al 22/01/2012

Curatori: Emanuela Angiuli, Anna Villari

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